Razzismo in Corea del Sud
La Corea del Sud è uno dei Paesi al mondo più omogenei in termini di razza e di lingua. Non stupisce infatti che negli ultimi tempi, anche a detta dei media coreani, il razzismo sia diventato un problema sociale molto diffuso. Secondo Freedom House, la Corea del Sud non ha ancora una legge antidiscriminatoria completa. Le poche minoranze etniche riscontrano perciò discriminazioni a livello legale e sociale. I residenti non coreani riscontrano forti difficoltà per ottenere la cittadinanza, che si basa sulla discendenza. I figli dei residenti nati all’estero subiscono un’esclusione sistematica dall’istruzione e dal sistema sanitario.
Dai primi anni 2000, la Corea del Sud ha visto un aumento dell’immigrazione, catalizzando in questo modo espressioni più aperte di razzismo, così come di critiche nei suoi confronti. I giornali hanno spesso descritto questi eventi ed hanno criticato la discriminazione verso gli immigrati. Ad esempio, si riscontra che hanno dei salari più bassi e che spesso gli vengono anche trattenuti, così come subiscono abusi fisici e sono denigrati.
Secondo le più recenti statistiche, oltre il 44% dei sudcoreani non vuole uno straniero come vicino di casa. Atteggiamenti razzisti vengono più comunemente espressi verso immigrati provenienti da altri Paesi asiatici e dall’Africa, mentre il fenomeno è minore verso gli europei, gli americani bianchi e i latinoamericani bianchi, che occasionalmente ricevono un trattamento considerato “eccessivamente gentile”. Discriminazioni simili sono state riscontrate anche verso bambini birazziali, verso i cinesi coreani e verso i nordcoreani.
Le leggi più recenti, come il Foreign Workers’ Employment Act del 2004 e il Support for Multicultural Families Act del 2008 hanno migliorato la situazione degli immigrati, proteggendo in maniera più efficace i loro diritti umani e lavorativi. Nel 2011, l’esercito sudcoreano ha abbandonato un regolamento che vietava agli uomini birazziali di arruolarsi. Inoltre, è stato modificato il giuramento di arruolamento, parlando di cittadinanza coreana piuttosto che di etnicità. Allo stesso modo, concetti simili sono stati tolti dai programmi scolastici. Questo si pensa che sia dovuto in parte alla pressione internazionale. In particolare, le Nazioni Unite avevano manifestato della preoccupazione a riguardo, affermando che in Corea del Sud persisteva una mentalità etnococentrica che avrebbe potuto rivelarsi un ostacolo verso la realizzazione di un trattamento egualitario e rispettoso per gli stranieri, così come verso persone appartenenti a razze e culture diverse.
Attualmente, in Corea del Sud mancano ancora leggi antidiscriminatorie, come era già stato sottolineato nel 2018 dal Comitato dei Diritti Umani dell’ONU. Lo stallo nelle proposte di legge è dovuto ad una mancanza di consenso pubblico.
Tra le risoluzioni suggerite per combattere la discriminazione in Corea del Sud ci sono leggi che penalizzano chi discrimina a causa della razza, oltre a mostrare gli stranieri nei media come rispettosi della cultura sudcoreana e ad effettuare un’accettazione razziale a livello educativo fin dai primi anni di scuola. Al momento, non si sono più intrapresi passi in questa direzione, dato che la campagna presidenziale è sfociata in crimini discriminatori impuniti e poco scoraggiati dai media, come è stato mostrato da Katharine H.S. Moon, capo degli Studi Coreani della Brookings Institution di Washington. Servono pesonaggi birazziali in televisione e sulle passerelle, rappresentando la Corea del Sud con orgoglio. In questo modo, si educherà i sudcoreani alle diverse etnie e al loro valore per la società. Un esempio di assimilazione riuscito tra diversi studenti è il Wongok Village, più inclusivo nell’accettare culture diverse. I bambini qui imparano che ciò che è instillato nazionalmente potrebbe avere un effetto positivo sulla generazione successiva. Ne beneficeranno l’economia, la crescita demografica e l’accettazione globale, così come darà prova di essere beneficiosa reciprocamente se queste soluzioni sono ricercate sia dal governo che dai cittadini.
Nel luglio del 2018, una protesta di massa contro i rifugiati dello Yemen, arrivati sull’isola Jeju, ha causato sdegno in tutto il Paese. Forse la strada non è poi così lunga.